Il congelamento dei motori uccide la competitività e il DNA della F1
La Red Bull intende forzare la mano per portare la FIA a congelare le power unit dalla fine della prossima stagione fino al 2025. La scuderia di Milton Keynes intende mantenere la Power Unit Honda e svilupparla in autonomia una volta abbandonati dal costruttore giapponese alla fine del 2021.
Neanche a dirlo, un grande alleato per la scuderia austriaca, potrebbe essere Toto Wolff, il quale non aspetterebbe altro nel fermare lo sviluppo dei motori. La scuderia di Braclkey potrebbe contare su una supremazia indiscutibile in materia di power unit che la renderebbe a quel punto irraggiungibile per chiunque, almeno sul fronte motori, anche con i nuovi regolamenti del 2022.
F1, congelamento dei motori nel 2022? Il veto da parte della Ferrari al piano di Red Bull e Mercedes
Ma a mettersi di traverso nei piani di Red Bull e Mercedes ci sarebbe proprio la Ferrari.
La scuderia di Maranello non ha la minima intenzione di cedere questa ennesima battaglia politica. Ricordiamo inoltre che gli uomini del Cavallino dispongono del diritto di veto e intenderanno, almeno si spera, utilizzarlo.
Tante le motivazioni, una su tutta l’esigenza di recuperare il gap sulla Mercedes, che è tornato ad essere enorme, dopo l’accordo segreto dello scorso febbraio con la FIA. Essenziale per gli uomini di Mattia Binotto aver il tempo necessario per recuperare i cavalli persi e continuare con il massimo sviluppo possibile.
Un ulteriore aspetto sarebbe quello di introdurre nelle discussioni il tema dei propulsori del futuro, senza dover aspettare il 2026. Per la Ferrari è necessario trovare delle chiavi di ricerca che portino una ricaduta sul prodotto di serie, affinché i costi di ricerca non siano finalizzati solo a vincere i GP, ma contribuiscano alla corsa del carbon free dell’automotive con soluzioni sperimentali. Un punto di incontro, almeno per il momento, potrebbe essere semplificare gli attuali motori ibridi valorizzando di più la parte elettrica e meno quella endotermica, cercando di ridurre i costi.
Congelamento motori, un decennio di regole assurde per la F1
Ma cosa vuole realmente essere la Formula 1? Per noi, dovrebbe essere la massima espressione dell’automobilismo sportivo in campo tecnologico, senza alcun vincolo regolamentare che vada contro l’essenza di questo sport.
La scelta di congelare motori ed altre componenti è un qualcosa in questo senso di incoerenza, ma anche di estremamente subdolo, perché di fatto si “congela” soprattutto la competitività generale del campionato. Senza possibilità di sviluppo, non c’è possibilità di recuperare un determinato gap che rischia di trascinarsi per anni, come abbiamo visto con il dominio Mercedes. Tornando anni indietro, nel 2009 ed anche nel 2014 con la regola dei token, scelte simili favoriscono sempre un determinato team.
Queste regole, spesso cervellotiche furono imposte per arginare i costi e ridurre il gap tra grandi e piccoli team, in un mondo che solo pochi anni prima vedeva addirittura motori da qualifica e motori per la gara.
Anno dopo anno la F1 ha messo in scena una serie di cataclismi:
Durata del motore di almeno 7 gare, personale inferiore durante i week end di gara, eliminazione totale dei test, la lunga sosta estiva, i token dei primi anni ibridi, la durata del cambio per almeno 6 gare (senza dimenticare la stramba regola del 2014 dove i rapporti del cambio dovevano rimanere gli stessi per tutta la stagione inclusi i circuiti estremi come Monaco, Singapore e Monza), il limite di carburante.
Fino ad arrivare ai giorni nostri con il congelamento di molte componenti da fine 2020 al 2021. Tutte questa serie di accorgimenti e regole esasperate che non hanno portato nessun tipo di aumento della competitività, anzi ha definitivamente ammazzato la competizione.
Congelamento motori o ritorno alle origini? Quale soluzione per il futuro della F1
Non c’è probabilmente una ricetta, ma è estremamente certo che congelare componenti e bloccare gli sviluppi vada contro ogni spirito sano della competizione.
Fino al 2006 circa, con alla base di un regolamento tecnico ben determinato, i team con la creatività dei tecnici erano liberi di sviluppare la vettura in tutti le sue sfaccettature. La differenza tra ieri ed oggi si gioca tutto qui: gli aggiornamenti costanti in tutto l’arco del campionato giocavano un ruolo quasi primario nella lotta del campionato.
Ma non solo, poteva completamente stravolgere i valori in campo nel corso della stessa stagione, come dimostrano le stagioni 1997 e 1998, dove Williams e McLaren partirono con un grande vantaggio su Ferrari che nel corso della stagione riuscì a limare il gap giocandosi il mondiale.
Sempre la stessa Ferrari nel 2005 si trovò a recuperare un gap enorme su McLaren e Renault. Il team non aveva solo problemi di gomme, ma anche un difetto cronico aerodinamico. Ci furono ben 250 giorni di test, non solo per trovare competitività con i pneumatici Bridgestone, ma anche per provare nuove componenti sulla vettura in vista del 2006. Un lavoro certosino che vide i suoi frutti appunto l’anno dopo quando la rossa si giocò il mondiale con Renault, che l’anno prima dominò il mondiale.
Recuperare determinati gap al giorno d’oggi, come testimoniano gli ultimi 2 campionati, sarebbe impossibile.
Ma cosa significava avere test e sviluppi liberi? Ad ogni fine settimana di gara, i team portavano una vettura ed un prodotto nuovo ed anche più veloce rispetto al gran premio precedente. Nei 14 giorni che separavano i due weekend di gara, bisognava ideare-disegnare-produrre e testare in pista nuove soluzioni che permettessero di aumentare la prestazione, ma anche l’affidabilità, della vettura.
Tutto questo ovviamente stringe e non poche con le regole degli ultimi anni e con l’ultima proposta di un possibile congelamento dei motori dal 2022 al 2026.
La F1 deve ritrovare e riscoprire il suo vero DNA.
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