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Storie Dal Clan – Il Nostro Michael

SCHUMY50 – Si, 50 anni. Michael Schumacher. Eppure la tua mente lo ricorda poco più che trentenne, a saltare come un canguro sul gradino più alto del podio. A fingersi direttore d’orchestra mentre suona l’inno italiano, dopo l’ennesimo successo.

Abbiamo voluto omaggiare Schumy con quelli che sono i nostri ricordi indelebili, le emozioni indimenticabili, impresse nella nostra mente e nel nostro cuore. Niente fredde statistiche, niente record da srotolare.

GIANLUCA –  Ho iniziato a seguire la F1, seriamente, proprio nel 1996. La mia prima stagione intera di f1, le prime cocenti delusioni, date da una F310 che si perdeva pezzi ad ogni sessione. Una monoposto difficile, nervosissima, sempre di traverso, con i piloti costretti a tenere il casco inclinato a destra per far respirare meglio il motore.

Uno scherzo della natura, capace di rompersi anche nel giro di formazione.

Ma con la F310, Schumy scrisse alcune delle pagine più belle della sua storia a Maranello. Quelle poche volte che non si rompeva, s’intende. Barcellona 1996, sotto un diluvio biblico, Schumacher straccia e affoga lettaralmente gli avversari, ottenendo il suo primo epico successo.

E poi via con la doppietta “Spa-Monza” una dietro l’altra, con il sottoscritto a mettere a dura prove le molle del divano di casa.

Quel gesto di esultanza, alla Roggia di Monza, un’esplosione di gioia, un’immagine indelebile. La Ferrari non vinceva a Monza da quasi 10 anni. Era nato il mito del Barone Rosso.

L’anno dopo il primo attacco al mondiale. Magie su magie, si arriva giocarsi il mondiale a Jerez, all’ultima gara.

Schumy è in testa, prende il largo su Villeneuve, sembra fatta. Al secondo pit, qualcosa non va. La Ferrari perde ritmo, Jacques s’avvicina e attacca il tedesco:

Tutto il mondo crede che Schumacher abbia tentato, invano, di speronare il rivale. Tu sei un ragazzetto col cuore infranto, non vuoi crederci. Il mondiale è andato. Piangi sulla gazzetta del giorno dopo “Rossi dalla vergogna”. Un titolo che non scorderai più.

Passano gli anni, i successi, le cocenti sconfitte, un altro mondiale perso all’ultima gara(Suzuka 98, il “ditino” alzato allo start..), l’incidente a Silverstone nel 99. La stessa apprensione che si proverebbe per la salute di un parente, a inseguire ogni notiziario per un aggiornamento sullo stato di salute. Invece di pensare alla fighetta di turno che ti fa la corte in quella calda estate.

Suzuka 2000. Sembra l’anno buono. Siamo usciti davanti ad Hakkinen dopo il pit stop, grazie al solito “tocco” da maestro. Giri da qualifica a serbatoii vuoti, uno dietro l’altro.

“Il titolo mondiale non può sfuggirgli!!”

Recita il buon Mazzoni. Io piegato davanti alla tv, in lacrime. La lunga attesa, le tante domeniche storte(vi ricorda qualcosa?) si sono tramutate in un sogno che si realizza. Tuo padre è li accanto a te, con gli occhi lucidi. NON VEDEVA IL TITOLO PILOTI A MARANELLO DA 21 ANNI. Il giorno dopo corre in edicola a comprarti il cappellino che volevi da una vita.

ROBERTO –   Per me, è come riaprire un album di ricordi bellissimi e malinconici. Un’ età in cui quello che ti colpisce, che ti fa emozionare, te lo porti dentro per sempre: come un credo, come un ricordo, come una promessa d’amore indissolubile e sincera.

Ricordo ancora oggi nitidamente quando lo vidi per la prima volta, il tedesco, l’uomo che doveva riportare il marchio più famoso al Mondo lassù, lassù in cima a quella cosa che chiamavano “Formula 1” che io ancora non capivo e non comprendevo. Lo vidi per la prima volta una domenica d’ottobre sul finire del 1997, si, era proprio Jerez ’97.

Chi l’avrebbe mai detto che quel giorno cosi triste per milioni di ferraristi in tutto il Mondo, avrebbe sancito per me un indissolubile legame con Schumi e con la Scuderia italiana. Quel giorno, da bambino di otto anni, non potevo capire quanto fosse cruciale quella gara, quella sfida che vedevo attraverso la tv della cucina di casa dei miei nonni, quella disfatta italiana.

Gli anni passarono e passarono in fretta, si arrivò l’anno dopo alla sfida contro la McLaren di Hakkinen; quanta paura che mi incutevano quegli uomini del team inglese vestiti tutti di nero, mamma mia, se ci ripenso ancora oggi, dico quanto sia bella e tremenda l’inconsapevolezza e l’innocenza di un bambino.

E tu, Michael con quella tuta rossa a fare da super eroe contro “cattivi” di quella squadra di brutti ceffi. Anni di vittorie belle e meritevoli come quella pazzesca in pit lane a Silverstone ’98 o a Imola nel ’99, e io crescevo sempre di più con il sorriso e quel volto limpido e bonario di quel ragazzone tedesco, che alla fine era simpatico, non come molti addetti dell’epoca che lo accusavano, a volte, di essere un pilota che non s’impegnava al massimo.

Poi arrivò quel maledetto giorno di luglio 1999, Silverstone. Come non ricordare quel triste giorno quando ti vidi lì, con la tua monoposto rossa fiammante, conficcata in quel groviglio di gomme e lamiere. Sembrava finita, i “cattivi” avevano vinto di nuovo, neanche quel simpatico ragazzo scanzonato del tuo compagno di squadra riuscì a rompere quel maleficio che sembrava non spezzarsi.

Il nuovo millennio, nuove sfide, vecchi avversari. Però no! Quest’anno deve essere l’anno giusto! È quello che sentivo e leggevo dai giornali e dalle tv all’epoca, e la speranza cresceva, cresceva e aumentava sempre di più in quei mesi, come una nuova vita che prendeva sempre di più forma nel grembo di mia madre.

E poi arrivò, eccome se arrivò: Suzuka, 8 ottobre 2000, quella che poi diventerà celebre come “l’alba rossa”; ce l’avevi fatta, Michael, il sogno si era realizzato, vincere il mondiale con la Ferrari, riportare come disse in telecronaca il buon commentatore Rai, Gianfranco Mazzoni: “i colori dell’arcobaleno tornano sulle insegne del Cavallino Rampante” e via di lacrime, lacrime di un bambino ormai diventato ragazzino di quasi 12 anni, che piangeva davanti a quella tv; e pensa tu tutti quei ferraristi più navigati che avevano vissuto tutti e ventuno anni di digiuno Ferrari, che gioia, che ricordo bellissimo.

Quanti sorrisi in quegli anni, quante vittorie, quanti abbracci su quel podio con quel tuo amico e capo che ricordava tanto un noto personaggio comico della televisione italiana. Ma tu, Michael restavi sempre quel ragazzo simpatico, quel super eroe per noi ragazzini ferraristi dell’epoca che si erano innamorati delle tue gesta e delle tue vittorie con il Cavallino. Quanto mi manchi Michael, quanto mi manca vederti, sentirti, non avrò mai il piacere di scattarmi una foto con te o semplicemente di farmi autografare il tuo cappellino che custodisco gelosamente.

Grazie a te mi sono innamorato della Formula 1 e sono diventato un ferrarista che, ancora oggi conserva intatta la gioia e la passione di quel bambino che quella domenica pomeriggio d’ottobre, era seduto davanti alla tv. Ti vorrò per sempre bene Michael, sarò per sempre un tuo tifoso e le tue gesta saranno tramandate ai miei figli, se un giorno avrò la fortuna di raccontare di te a loro.

Buon compleanno Michael. Continua a lottare. Motorsport Clan.